[E occuparsi dei malati cosa voleva dire?]… malati “incurabili”, diciamo: il discorso vale per l’Huntington come per altre affezioni, fatte le debite distinzioni. Vuol dire avere un impegno di ascolto nei confronti dei malati e dei parenti cercando di dare loro delle spiegazioni razionali su quella che è la malattia; comprensibili: che loro sappiano, si rendano conto di cosa si tratta. Per prima cosa devono capire con cosa hanno a che fare, perché devono programmare anche la loro esistenza, il loro futuro. Fintanto che non c’erano i test uno sapeva che uno dei genitori era malato e aveva venti o trent’anni, però di segni non ne aveva, quindi dovevi essere informato che nella tua famiglia c’è la malattia e tu hai il 50% di possibilità di avere la malattia. E decidi tu quello che vuoi programmare: pensi di farti una famiglia? Non ti vuoi sposare? Vuoi far figli? Puoi benissimo essere esente dalla malattia, perché non tutti l’hanno… e quindi lì ci si incontra – o ci si scontra – con la personalità individuale: chi è interessato ai problemi della famiglia e vuole partecipare, vuol essere informato e dà la sua adesione all’informazione; altri che non vogliono saperlo. Non si deve forzare. La problematica è tutta qua. Poi, con il malato e la famiglia, dare le informazioni corrette, con un minimo di speranza, senza esagerazione […] resta la speranza che si può aiutare, che ci sono le medicine che ti possono far stare meglio… che poi infondo, uno ragiona ancora; non è che tutti sono colpiti nella mente per cui la loro intelligenza, la loro comprensione è compromessa e non possono partecipare alla vita quotidiana. Possono per un anno, dieci, vent’anni… la malattia dura a lungo. Non è che accorci l’esistenza di moltissimo: la vita media dalle prime manifestazioni è di vent’anni quindi, se le prime manifestazioni compaiono a quaranta, cinquanta, vuol dire che uno vive fino a settant’anni.
Queste le parole del professor Tommaso Caraceni, tratte da “I RACCONTI DELL’HUNTINGTON. Voci per non perdersi nel bosco“.
Un libro che dà voce a tutte le figure che ruotano intorno a questa malattia – medici, psicologi, operatori sociali, caregiver e associazioni – per diffondere le buone pratiche nella relazione tra il professionista, il paziente e le persone che gli sono vicine: ciascuno ha bisogno delle parole dell’altro. Un impegno che ci vede tutti protagonisti nella costruzione di reti di qualità per coloro che sono coinvolti dalla malattia.
Un altro racconto da condividere, aspettando di leggerne molti altri insieme in occasione della presentazione del libro, il giorno 28 febbraio alle ore 18, in via Poerio 14 a Milano – presso la sede di Telethon.
L’ingresso è libero, ma è necessaria la registrazione a questo link entro il 27/02, per questioni organizzative.
Non prendere impegni, noi ti aspettiamo!