Sono molti gli aggettivi che ricorrono nei racconti che le famiglie condividono durante gli incontri, le telefonate, i colloqui, di quel mondo che vivono ogni giorno, della loro convivenza con l’Huntington. Due, seppur nelle declinazioni dei sinonimi possibili, sono i più frequenti: poco conosciuta e ingombrante. I malati, i caregiver si trovano a confrontarsi con una malattia di cui ancora oggi spesso la pronuncia del nome si fa incerta: una malattia che già nella sua attesa prima e nel suo manifestarsi dopo, invade gli spazi e i tempi di chi ne è portatore e di chi se ne prende cura. È un mondo che cambia.
A partire da questa nostra esperienza e sulla scia dell’evento tenutosi a Roma nel 2017, nel corso del quale rappresentanti della Comunità Huntington provenienti da 26 paesi hanno incontrato Papa Francesco, per superare il dramma della vergogna, dell’isolamento, dell’abbandono, per dire a tutto il mondo: “HIDDEN NO MORE, OCULTA NUNCA MAS, MAI PIU’ NASCOSTA”, abbiamo deciso di far vedere, portare l’Huntington sotto gli occhi di tutti, dando così vita a Il viaggio del gene Huntington.
Come Associazione, operiamo per affiancare le persone coinvolte dall’Huntington, con servizi gratuiti di supporto e ci impegniamo, promuoviamo, partecipiamo a iniziative di sensibilizzazione e informazione come questa, perché la malattia non è un fatto individuale, ma una malattia della famiglia, delle famiglie. A partire dal 2018 le piazze di Milano, Padova, Cagliari e Napoli sono state pacificamente invase, da una riproduzione di oltre 70 metri del gene Huntington e della sua mutazione che è causa della malattia, perché intorno alla sua rappresentazione, potessero unirsi tante persone – dallo scopritore del gene James Gusella ai cittadini curiosi – a simboleggiare la sola forza, la sola cura che abbiamo oggi a disposizione, per contrastare il suo ingombrante peso: l’unione, la rete, la vicinanza.
Lo scorso 16 settembre, Il viaggio del gene Huntington ha raggiunto Bologna, tappa particolarmente significativa per un duplice motivo. Da un lato, è la prima post pandemia durante la quale le famiglie hanno vissuto una condizione di doppio isolamento: a quello legato al decorso di una malattia, che porta con sé vergogna solitudine stigma, si è inevitabilmente aggiunto quello determinato dall’emergenza sanitaria e dalle conseguenti misure per il suo contenimento che hanno portato una riorganizzazione della vita tanto del malato quanto del caregiver.
Dall’altro, lo srotolamento è avvenuto nell’ambito del Meeting dell’European Huntington’s Disease Network (EHDN), svoltosi quest’anno nel nostro Paese: mentre si spegnevano le ultime luci del Convegno e si accendeva la sera, sullo sfondo della musica di Woody Guthrie, ricercatori e medici, operatori della cura e dell’assistenza, persone che quotidianamente hanno scelto di occuparsi di Huntington, si sono progressivamente unite nel sostenere la lunga riproduzione del gene.
“E’ importante – ha commentato emozionata la Presidente Caletti – per le famiglie sapere che siete tanti, che le competenze necessarie sono diverse, che instancabilmente lavorate per loro, che lo fate anche quando sembra che sia tutto fermo. Il sostegno del gene da parte vostra rappresenta tutto questo, in una sola parola: la speranza. E ne abbiamo, tutti, davvero bisogno.”