6 storie, 10 giovani: Giulia, Tatiana, Luca, Marzia, Elena, Yuly, Valentina, Valeria, Fabio e Argenis, dall’Italia all’America Latina. Giovani caregiver, ma anche donne e uomini, figli, fratelli, e compagni di vita, legati a doppio filo dalle stesse paure e dallo stesso coraggio di fronte alla malattia.
“Quello che ho cercato di fare è stato cercare di trovare un equilibrio… un equilibrio instabile ma pur sempre un equilibrio. È come quando si fa una camminata si arriva in cima alla montagna e si cammina sulla cresta, si vede la bellezza di quello che ci circonda ma si sa che sia a destra che a sinistra si può cadere.” Fabio – Italia
“La cosa che mi spaventava più di tutti era la paura di perderlo, la paura che la malattia lo avrebbe portato via annientandolo. Se fossi andata via io lo avrei perso a prescindere, e quindi sono rimasta.” Valeria – Italia
“Avevo capito che la cosa giusta da fare per me era fare il test genetico, per più di una ragione: la prima se vogliamo era quella di potermi organizzare per il futuro avevo bisogno di capire quale futuro poteva attendermi e quali energie o meno avrei avuto a disposizione per poter essere d’aiuto alla mia famiglia. Poi per rispetto della ragazza che avevo accanto, perché lei aveva tutto il diritto di sapere se ci avrebbe atteso un futuro di sfide che lei sarebbe stata o meno in grado di affrontare. Infine, l’ultima ragione… l’eventualità di preoccuparmi per una vita qualora fossi stato negativo, in altre parole aveva senso preoccuparsi o occuparsi un giorno dell’Huntington su di me se c’era davvero, se ce l’avevo.” Luca – Italia
“Ho capito che non era una cosa che volevo affrontare perché comunque nella vita possono esserci miliardi di imprevisti che possono cambiarla. Ho deciso quindi di affrontare la mia vita giorno per giorno senza avere delle anticipazioni diciamo su quel che sarà”. Marzia – Italia
“Per me la vita è un fiume possente che scorre con la forza dell’acqua che ci spinge e ci muove da una situazione all’altra… La cosa più importante è tutto quello che noi scegliamo di fare in conseguenza di quello che ci capita: cosa facciamo di fronte a quello che la vita ci riserva, ci dice chi siamo in verità.” Tatiana – Brasile
“Voglio raccontare quello che continua a succedere a San Luis ed è la discriminazione verso gli ammalati e anche io ne faccio parte e sono discriminato… È questa discriminazione, soprattutto nei confronti dei giovani, che mi ha portato ad agire per creare una nuova cultura a San Luis orientata alla formazione e volta a cambiare questo paradigma.” Edinson – Venezuela
“La mamma ha avuto una forza esagerata, ha combattuto come una leonessa… forse quello è servito a lei, ma forse più a noi che le stavamo intorno. L’associazione è stata fondamentale perché per la prima volta non ci siamo sentiti soli, con l’Associazione si è creato un legame affettivo, un legame di famiglia. La mamma è mancata l’anno scorso, ma noi abbiamo continuato ad andare in Associazione perché qualcuno comunque potrebbe avere bisogno di una spalla”. Valentina – Italia
“La relazione con mia mamma è molto speciale… lei è una donna molto forte è la mia eroina. La motivazione che mi spinge ad impegnarmi con la fondazione e con questi giovani deriva da un motivo personale che ha cambiato la mia vita, adesso vedo le cose in modo differente. La cosa più importante con questa malattia non è solamente vederla e conoscerla, ma poterci sostenere a vicenda.” Argenis – Venezuela
9 storie, 9 persone, 9 vissuti, 9 punti di vista diversi e così ogni storia racconta la convivenza tra vita e malattia, nella loro complessità e nelle innumerevoli sfaccettature, tra impegni e paure, quotidianità e problemi, desideri e speranze.
“Questa malattia si chiama anche Còrea. Còrea ricorda la danza ma ricorda anche il coro, forse la cura è un’azione corale di tutte queste persone, i medici che possono contenere i sintomi, le famiglie che cercano di capire e confrontarsi con questa malattia, le istituzioni che stanno accanto alle famiglie e alle persone. Ecco, tutto questo sforzo collettivo è la cura che noi oggi abbiamo a disposizione.” Claudio
“Ho scoperto a 23 anni di essere positiva al test, avevo comunque il 50 per cento di possibilità e per la mia vita futura e poi per le persone che mi stavano accanto e dovevano sapere se io ero sana o no. Inizialmente ero spaventata e poco dopo ho deciso con l’aiuto mio e solo mio […] di andare avanti, di cercare di fare le cose che non avevo ancora fatto.” Silvia
“È un gene importantissimo per la nostra vita, ci permette di nascere e al nostro cervello di funzionare bene. A un certo punto però, quando muta, insorge la malattia neurodegenerativa chiamata Còrea di Huntington.” Chiara
“È una vita di rinunce, purtroppo, non solo per me, ma anche per mia figlia e mia moglie. Abbiamo dovuto rinunciare a tutto per colpa della sfortuna. […] Il lato bello della vita è mia figlia!” Amedeo
“E parlo intenzionalmente di famiglia. Quando ci si ammala di Huntington è tutta la famiglia ad essere colpita; in quanto la malattia porta un declino fisico, psicologico e cognitivo, incrinando importanti e delicati equilibri famigliari.” Dominga
“Una malattia così devastante ti induce, per forza di cose, a cambiare lo stile di vita; per cui la tua casa che prima era un rifugio tranquillo dopo una giornata estenuante al lavoro, diventa un campo di battaglia.” Maria Grazia
“Ci vuole compassione. Perché il significato di compassione è partecipare alla difficoltà e al disagio.” Fausta
”Penso che sia fondamentale uscire allo scoperto. E il fatto di accettare di essere malata è stato quello che mi ha fatto scattare, mi sembra di poterla governare la cosa. E più se ne parla di un problema più questo si ridimensiona.” Giulia
“La vita di Michele dal momento della diagnosi è cambiata completamente. […] Direi che è stata stravolta non cambiata. Però non posso dire che non sia una vita ricca.” Cristina e Michele