17 settembre 2013 – Lettera della Senatrice Elena Cattaneo
Scritto in volo dal Congresso Mondiale sull’Huntington di Rio De Janeiro al Senato di Roma
Succedono eventi nella vita di ciascuno di noi. Alcuni arrivano inaspettati, imprevisti, obbligano a rivedere piani, obiettivi, aspettative, a temere di non potercela fare …per poi farci salire di un gradino nella comprensione del nostro ruolo e potenzialità in questa vita. A volte questi avvenimenti portano anche a frugare nella responsabilità e nella speranza che ci rendono umani, in cerca di quelle ulteriori briciole di coraggio da crescere per affrontare l’inaspettato che prende l’anima e che, a volte, fa male.
Nella mia vita le cose inaspettate sono quasi sempre state belle. Con la mia famiglia di prima (dove sono nata e che tuttora esiste e partecipa al mio mondo) e con quella di ora (che mi sono formata, con un marito e due figli). La mia è sempre stata una vita normale, come quella di molti, serena, semplice, capace di ricordarmi ogni giorno che: il mondo è prima di tutto degli altri e poi mio; che i miei momenti di disagio e sofferenza sono sempre niente a confronto con quelli di tanti altri; che ogni mia mattina comincia con una gran fortuna, quella di vivere nella parte, per me, più bella del mondo; che ogni vita è importante; che ogni lavoro onesto è fondamentale; che impegnarsi è un dovere; che studiare comporta il privilegio (oltre all’onere) di sottoporre i propri pensieri alla verifica delle fonti e dei risultati dimostrabili.
Nella mia vita ho anche incontrato un lavoro che mi ha sempre dato più di quanto io sarò mai in grado di rendere, perché mi ha permesso di capire cosa significhi esplorare territori dove nessuno era mai arrivato prima, ma anche come sperare in un traguardo per poi vederlo svanire e infine raggiungerlo proprio per non avere mai ceduto nell’assiduità di cercarlo. Parlo di un lavoro che mi ha insegnato a costruire con altre persone e a sviluppare il coraggio di distruggere con quelle stesse persone pezzi di storie in comune, per ricominciare insieme e fare meglio. Parlo di un lavoro che mi ha insegnato a coltivare il battito della speranza che non dà tregua e l’orgoglio di una professione che ogni giorno mi sembra capace di risvegliare una delle parti più pure e appassionate degli uomini.
Tra le cose belle che mi sono capitate c’è anche l’avere imparato ad allontanarmi – non senza avere prima detto la mia – da persone e situazioni con cui non volevo confondere la mia vita, la mia passione e la mia convinzione che sia possibile lavorare e vivere onestamente, con giusti benefici e piene responsabilità, senza sconti alla propria coscienza, senza sfruttare, senza fuggire, senza secondi fini, senza manipolazioni, con un obiettivo chiaro e l’ego sotto le scarpe.
Tra le cose belle che mi sono capitate metto l’incontro con le tante persone con le quali ho condiviso e condivido ogni giorno i tanti obiettivi, affrontando piccole e grandi situazioni nuove, a volte difficili, a volte solo cattive (come spesso si presentano in tutti gli ambienti di lavoro), ma che la nostra consapevolezza (a volte un poco solitaria) rende particolarmente tristi per i danni che sappiamo possono causare.
Studiare la malattia di Huntington mi ha aiutato a riconoscere – dentro e fuori il laboratorio – le persone buone con le quali condividere i sogni e quelle meno buone, interessate, individualiste che poi vedi comunque e sempre sparire. Ho scelto da che parte stare con facilità: malati, loro familiari e conoscenti, studenti, ricercatori di base e clinici di tutto il mondo. Insieme, per studiare e aggiungere risultati in tante direzioni, senza tralasciarne nessuna, dal colesterolo, all’evoluzione, alle staminali, al BDNF. Studiare l’Huntington mi ha reso un’inguaribile ottimista e convinta complice della speranza.
Ed è a metà della mia vita (sembra si dica così) che mi si è presentata una nuova e inaspettata circostanza. Tutto inizia con una telefonata, alle 19.30 di un giorno di metà agosto, in laboratorio: “Il Presidente Napolitano vorrebbe incontrarla”. Non potevo nemmeno lontanamente immaginare l’argomento e non sono abituata a ricevere simili telefonate. Poi c’è stato l’incontro con un uomo di un’umanità rara e per parlare di un argomento da far tremare i polsi quando mi si è rivelato.
Ho subito pensato alla mia missione di vita …e che non l’avrei mai potuta tradire. Mi sono passati davanti agli occhi gli impegni presi con i malati, con i loro familiari, con il laboratorio, con i tanti progetti aperti. Mi sono anche spaventata per il fatto che non avrei mai potuto accettare di vivere una vita non mia, abbandonando o anche solo rinunciando a una piccola parte di quegli impegni. Ricordo di avere detto: “E’ un onore anche il solo pensiero, ma…”.
Pian piano ho capito l’enorme opportunità che questa occasione poteva rappresentare per la ricerca su malattie come l’Huntington, o tante altre malattie o, ancora, tante altre ricerche in tutte le discipline del sapere. Ho capito il messaggio, enorme e innovativo, che il Presidente Napolitano voleva lanciare a tutti i giovani e meno giovani, scienziati e intellettuali che s’impegnano onestamente dentro e fuori i laboratori, che sopportano tante fatiche per conquistare una nuova visione delle cose e un passo di conoscenza in più.
Mi è diventato chiaro che il mio nome era la parte meno rilevante di questa cosa e altrettanto chiarissimo che la realtà importante era l’essere stata e rimanere parte attiva di una comunità scientifica impegnata, di essere cioè, come tantissimi colleghi, comunque e sempre, tutti i giorni in laboratorio “nonostante tutto”, di avere mille progetti in corso per arrivare prima, di essere tra i tanti che sentono l’orgoglio per quello che fanno e per il fatto di farlo per il proprio paese. Anche quando non si sottraggono alle arrabbiature verso il proprio paese.
Nel suo discorso, il Presidente Napolitano sembrava rendere visibile di colpo l’esperimento e l’obiettivo di ciascuno studioso: l’importanza della conoscenza, il metodo scientifico, la necessità di una rivalutazione della Scienza, la necessità di far scoprire quale enorme carica civile si accompagna ad un lavoro che àncora chi lo pratica ai fatti.
Non mi si chiedeva affatto di vivere la vita di altri – e, pensandoci bene, non poteva essere diversamente vista l’autorevolezza dalla quale proveniva l’incredibile proposta – ma l’intenzione era proprio di dare seguito, nel pieno della sua concezione, ad un articolo della nostra Costituzione. Un articolo pensato per contribuire a costruire il nostro mondo facendo ciò che si è imparato a fare meglio, e con la possibilità concreta di portarne racconti, fatti, speranze e istanze nelle sedi istituzionali più alte.
La mia inaspettata nomina a Senatore a vita ha, quindi, questo senso e potrà compiersi solo ed esclusivamente se la mia vita di ricercatore in laboratorio continuerà come prima. Me lo ha confermato chiaramente anche il Presidente: “Non ho la minima intenzione di togliere nessuna risorsa alla ricerca”. E’ comprensibile il momento di orgoglio nel sentirsi “una risorsa per la ricerca” come lo sono molti altri colleghi, e di certo ho accettato anche le ulteriori responsabilità. So di dovermi organizzare e ci sto già lavorando, non da sola, per liberare l’agenda da un numero enorme di impegni fuori dal laboratorio di cui tutti noi ci carichiamo perché chiamati ad aiutare la stessa comunità scientifica con le nostre diverse specializzazioni. So anche che dovrò rinunciare o trasformare alcuni momenti della mia vita lavorativa di docente: non potrò più essere titolare di insegnamenti (anche se conto di mantenere il contatto con gli studenti attraverso seminari nei corsi dei colleghi che vorranno darmi tale possibilità). So con altrettanta certezza che il mio DNA sta con i progetti di ricerca sull’Huntington, UniStem, i network europei e americani di cui siamo parte, il laboratorio… tutto continuerà come prima. E il tempo utilizzato per garantire le condizioni per poter svolgere un esperimento (a partire da quelle legislative e dalle percezioni pubbliche) continuerà ad essere speso in tal senso. Adesso con la speranza di poter fare meglio e di più.
E non sarò sola: da anni lavoro con colleghi di tutta Italia sulle questioni all’interfaccia tra scienza e società, proprio per far capire che non si può decidere razionalmente, nemmeno o tantomeno in politica, senza far riferimento a prove o evidenze empiriche. E sto, da subito, lavorando per creare un nucleo di giovani, presso l’ufficio in Senato, che aiutino a costruire ciò che serve perché tutto ciò “renda”. Paradossalmente, ho persino la percezione che si stia facendo uno straordinario ordine nella mia vita e che possa esserci ancora più tempo per ricercare in laboratorio. Per la mia famiglia non lo so …ma mi hanno sempre capita e supportata.
Il mio obiettivo in Senato sarà, quindi, di farmi messaggero di quanto succede e di quanto c’è realmente bisogno nei luoghi dove si studia e si ricerca. In Senato cercherò anche di essere una sorta di ambasciatore che dovrà divulgare tutta la positività e l’ottimismo che si crea stando in uno di questi luoghi – i laboratori – ogni giorno e con la convinzione che quel che si sta facendo possa accrescere il benessere sociale.
Non sono, però, né ingenua né presuntuosa. Quello sarà l’obiettivo, ma non sono in grado di sapere ancora bene, oggi, come poterlo raggiungere né se quel traguardo si concretizzerà. Ma ci sono abituata. E’ un po’ come quando si comincia a far largo l’idea che porterà ad un esperimento (o a tanti esperimenti). E’ ancora una volta l’immagine – che mi è così cara e che qualcuno scherzosamente mi ricorda spesso – di un deserto da attraversare, lungo itinerari spesso ignoti e mai percorsi prima, difficili da riconoscere, ma che bisogna tracciare e continuare a ritracciare. Si troveranno delle oasi, magari soffrendo prima la sete ed evitando le sabbie mobili, e si continuerà il viaggio.
Nel piccolo dei nostri laboratori, la ricerca sull’Huntington mi ha insegnato a puntare ad obiettivi alti e a sviluppare le strategie per conquistarli. E a considerarli raggiunti solo e soltanto a fronte delle prove che si rendevano disponibili.
In Senato, come in Laboratorio, devo in fondo soltanto applicare ciò che lo studio dell’Huntington mi ha insegnato. Sono pronta ad accettare scommesse che, anche in quella sede, quell’insegnamento renderà.
Elena Cattaneo
Professore Ordinario,Ricercatore sulla malattia di Huntington, Senatrice a vita
>> martedì Settembre 8, 2015