In casa nostra l’Huntington è entrato con mio padre anche se con lui non era stato riconosciuto e diagnosticato. Abbiamo scoperto che era la malattia di Huntington solo quando si è ammalato anche mio fratello. Era stata esclusa qualsiasi forma ereditaria perché non c’erano precedenti noti in famiglia: i genitori di mio padre erano morti in relativa tarda età perché mia nonna aveva settantaquattro anni e il nonno aveva superato i sessantadue; non li avevo nemmeno conosciuti. […] Col neurologo io ne avevo parlato e avevo chiesto e ne avevo chiesto a mia mamma, e lei aveva chiesto a dei parenti stretti se ricordassero episodi o comunque una malattia che potesse avere sintomi simili, ma nessuno ne aveva memoria, nessuno ricordava in famiglia la presenza di casi simili. […] Ricordo perfettamente che il papà se ne rendeva conto perché noi quando avevamo avuto la risposta a questa indagine, eravamo contenti perché escludeva una neoplasia a livello cerebrale; ci rendeva più tranquilli, chiaramente non immaginando di cosa si trattasse. Lui no; probabilmente sentendosi affaticato e che peggiorava, avrebbe preferito un esito positivo. Si diceva: “Chissà questo cos’è; cosa diventerò”. Tant’è vero che dopo che è morto abbiamo trovato un quadernino dove lui aveva scritto, probabilmente in quel periodo, chissà cosa diventerò, chissà quale fatica faranno le persone vicino a me”. Quando mia madre lo aveva trovato, ci ha fatto pensare tutti. Per cui, nessuno pensava a una malattia neurodegenerativa. Non solo noi, ma anche chi lo aveva in carico dal punto di vista medico non lo aveva ipotizzato, lo aveva escluso. […] Dopo che è morto la cosa è stata chiusa sigillata […]. Poi mio fratello ha fatto il test, proprio mentre contestualmente in quel periodo cominciava anche ad avere i primi sintomi. E quando ha ritirato il test, che era positivo, è stata un po’ una doccia fredda, perché allora si sono ricomposti i pezzi del puzzle…
Tratto da “I RACCONTI DELL’HUNTINGTON. Voci per non perdersi nel bosco“.
Un libro corale in cui le voci ci raccontano quanto grande sia la responsabilità di chi è chiamato a diagnosticare, sia dal punto di vista medico sia dal punto di vista emotivo… Quella tra medico e paziente è una relazione che deve essere fondata sulla fiducia e sull’ascolto, per far fronte insieme alle situazioni, anche le più drammatiche.
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